Don Milani, la scuola rivoluzionaria
- Pubblicato da Emanuela Cattaneo
- Categoria Cultura e società
- Data 8 Giugno 2023
Lo scorso 27 maggio è stato celebrato il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani, pedagogista illuminato, educatore amorevole, uomo coraggioso. Opponendosi a una scuola che non educava, che accentuava il divario sociale e puniva invece di valorizzare, fu un pioniere dalla visione brillante e terribilmente attuale: voleva una scuola veramente inclusiva, veramente educativa.
IL LIBRO DENUNCIA DI DON MILANI
Lettera a una professoressa, il libro denuncia scritto insieme a otto allievi con la voce di un ragazzo che dalla scuola ci è appena passato, comincia così: «Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate». Le riflessioni contenute nello scritto venivano dall’esperienza di parroco popolare e anticipavano questioni pedagogiche centrali ancora oggi: il merito, la valutazione, le bocciature, il diritto allo studio e le disuguaglianze, il ruolo etico degli insegnanti.
ORIGINI BENESTANTI, DON MILANI PRETE DEL POPOLO
Lorenzo apparteneva a una laica, ricca e raffinata famiglia fiorentina, intellettualmente vivace.
Dopo la maturità classica si iscrisse al corso di pittura all’Accademia di Brera a Milano. Si appassionò all’arte sacra e da lì, nel 1943 si convertì – lui, di madre ebrea - al cattolicesimo per poi entrare in seminario contro il volere dei genitori.
Fu così che nel 1947 divenne sacerdote, subito incaricato alla parrocchia di S. Donato a Calenzano, vicino a Firenze: 1.200 anime fra braccianti, pastori, operai, quasi tutti analfabeti.
Erano appena state istituite dal governo – proprio per guarire la ferita dell’analfabetismo - le scuole popolari: classi per adulti che potevano essere aperte “presso le scuole elementari, le fabbriche, le aziende agricole, le istituzioni per emigranti, le caserme, gli ospedali, le carceri e in ogni ambiente popolare, specie in zone rurali”. In effetti nell’elenco non apparivano le parrocchie ma Don Lorenzo non si lasciò sfuggire l’opportunità di creare una scuola nella sua.
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LA SCUOLA POPOLARE A CALENZANO
A quei tempi pochissimi frequentavano la scuola e anche gli scolarizzati, cioè con la licenza elementare, non erano in grado di comprendere un contratto di lavoro o un articolo di giornale.
Don Milani vedeva nella scuola italiana una conferma dell’arretratezza e della diseguaglianza sociale e culturale, una risorsa utile per l’istruzione delle classi più abbienti, ma non per gli altri a cui diceva che non erano adatti a studiare e che sarebbe stato meglio tornare alla zappa.
Nella scuola popolare di San Donato si leggevano i giornali, si analizzavano argomenti di attualità e ci si concentrava sulle parole difficili per un giovane operaio o contadino. C’erano conferenze con esperti dalla città: un veterinario raccontò le malattie degli animali, il direttore dell’osservatorio di Arcetri l’astrofisica, un camionista i motori, uno storico il socialismo.
Sì perché per Don Milani la Chiesa doveva dare non solo assistenza spirituale ma anche conoscenza e capacità critica per emanciparsi dalla subordinazione sociale.
BARBIANA
Don Milani non piaceva ai vertici e venne spedito tra i monti del Mugello, a Barbiana. Paesino sperduto, 40 abitanti, niente scuola, niente elettricità né acqua corrente. Nel giro di qualche anno Barbiana divenne un centro di pensiero pedagogico molto avanzato dove, sullo sfondo delle grandi discussioni sulla riforma della scuola, cominciarono ad arrivare intellettuali e personalità della politica, insegnanti italiani e stranieri.
Allestita in una stanza della canonica e d’estate sotto il pergolato, era sempre aperta, tutto l’anno, tutto il giorno. Niente punizioni corporali. L’obiettivo non era selezionare, ma far arrivare tutti: si lavorava in modo collettivo, chi sapeva di più aiutava chi sapeva di meno.
E si insegnava di tutto. Per esempio, si facevano lezioni di recitazione per superare la timidezza, gite al mare per vederlo dal vivo (per la prima volta), visite alla fabbrica o al teatro dell’opera. Era perfino stata costruita una piccola piscina per affrontare la paura dell’acqua.
Ma al centro di tutto c’erano le parole: “Io uso ogni parola come se fosse usata per la prima volta nella storia”, diceva don Milani. Perché è la padronanza della lingua che permette di comprendere e osservare in modo critico. Serve “un’educazione linguistica come vera e propria lotta di classe” e perché tutti possano davvero beneficiare del diritto all’istruzione.
Proprio in questo momento, a un passo dall’esame di maturità - coronamento per tutti i nostri maturandi di un percorso faticoso ma entusiasmante - siamo felici di ricordare un maestro e un uomo pieno di amore e ispirazione, convinto del valore della conoscenza.
Tag:don milani, pedagogia