La mente che vaga
- Pubblicato da Emanuela Cattaneo
- Categoria Curiosità
- Data 13 Gennaio 2022
Vi è mai capitato di leggere alcuni paragrafi di un libro e rendervi conto improvvisamente che i pensieri erano lontani e del testo non ricordavate nulla? Oppure di imboccare una strada che siete soliti fare pur dovendo andare altrove? Se vi è accaduto non preoccupatevi, questi eventi rispecchiano un fenomeno molto comune, e ben noto a qualsiasi studente, chiamato mind-wandering.
LA MENTE ERRANTE
Il fenomeno del mind-wandering (“mente errante”) consiste in uno spostamento dell’attenzione dall’attività che si sta svolgendo (qui e ora) verso sensazioni interne o pensieri e preoccupazioni personali. Secondo alcune ricerche caratterizza quasi il 50% della nostra giornata. Si tratta, in realtà, della vera natura della nostra mente, mutevole e in continuo fluire tra esterno e interno.
La mente errante comprende diversi tipi di pensieri intrusivi, che possono andare dai sogni a occhi aperti a considerazioni personali sul compito che si sta svolgendo, e può essere più o meno profonda: possiamo guidare così “sopra pensiero” da non renderci conto di aver già percorso un bel tratto di strada, ma rifocalizzarci sulla guida per frenare quando incontriamo un semaforo rosso. Se il mind-wandering è molto profondo, invece, tutta la nostra attenzione è rivolta a stimoli interni e potremmo accorgerci del semaforo quando ormai siamo già al centro dell’incrocio.
MIND-WANDERING, UN BENE…
Distrarsi da ciò che si sta facendo può non essere solo un ostacolo ai nostri obiettivi. Alcune ricerche suggeriscono che il mind-wandering potrebbe essere legato a una maggiore creatività, in particolare rispetto ad attività complesse affrontate in precedenza: di fronte a un problema di difficile soluzione – che si tratti di matematica e fisica o di tematiche di vita quotidiana - rilassarsi svolgendo attività semplici, lasciando vagare la mente, sembra favorire il problem solving creativo (rimanendo focalizzati sul compito invece è più probabile trovare soluzioni basate sul ragionamento analitico). In effetti molti illuminati, come Newton e Einstein, sostengono di aver avuto i loro momenti d’ispirazione mentre erano impegnati in pensieri o attività altre.
I meccanismi alla base di questo fenomeno non sono ancora chiari ma si suppone che il mind-wandering favorisca i processi associativi, ossia la creazione di nuovi legami tra le informazioni immagazzinate nella nostra memoria. Così permettendo di utilizzare in modo nuovo dati già posseduti.
…O UN MALE?
Nel caso del pensiero creativo la persona lascia volontariamente la mente vagare (mind-wandering intenzionale). Resta invece un problema in tutte quelle situazioni in cui abbiamo un compito che richiede buona parte delle nostre risorse attentive ma non riusciamo a bloccare i pensieri intrusivi (mind-wandering non intenzionale). Sto studiando e mi distraggo, sappiamo bene com’è!
Ciò succede più frequentemente nei periodi di stress e stanchezza o quando si è annoiati/poco motivati rispetto all’attività che si sta svolgendo, e si manifesta spesso quando lo stato d’animo tende a tristezza, preoccupazione, ansia o depressione. A loro volta, i fallimenti cognitivi derivanti dalla mente “disattenta” generano ulteriore stress e frustrazione, aumentando i sentimenti negativi.
Quindi nonostante l’insorgere di pensieri non legati a quello che stiamo facendo sia un processo automatico e normalissimo, la cui frequenza può variare molto da persona a persona, esso è disfunzionale quando diventa rimuginio o quando non riusciamo a reindirizzare l’attenzione come servirebbe.
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NON PENSARCI!
La capacità di frenare il mind-wandering è chiave nel mantenere una prestazione cognitiva adeguata. E chi studia, lo sa molto bene. Anche se a volte è davvero difficile, soprattutto quando siamo particolarmente emotivi. In questi casi risulta addirittura controproducente tentare di bloccare i pensieri intrusivi. Un esempio molto semplice ma illuminante è lo studio di Wegner e collaboratori (1987). Nell’esperimento si dava una istruzione molto chiara: per i prossimi 5 minuti non pensate agli orsi bianchi. Ebbene, la maggior parte dei partecipanti, alla fine, ci aveva pensato di più anche di coloro che avevano ricevuto l’istruzione opposta, ovvero di concentrarsi intenzionalmente sugli orsi. Ecco quindi che il cercare di “non pensarci” non funziona o addirittura porta al risultato opposto.
IL MIND-WANDERING NECESSARIO
Al contrario, in certi casi, la propensione a distrarsi e vagare di tanto in tanto con la mente fornirebbe l’opportunità di ritornare sul compito con nuove e più produttive capacità attentive, cioè “a mente fresca”. Perciò un metodo di studio basato sulla full-immersion o sulla ostinazione (finchè non risolvo il problema non mi stacco) senza concedersi momenti di pausa e distrazione non facilita né l’apprendimento né la risoluzione di un problema. E dell’importanza delle pause abbiamo parlato più di una volta.
In definitiva, la mente richiede di essere “guidata” per aiutarci a svolgere tutti i compiti di varia natura che la vita di ogni giorno ci richiede. Ma va anche in parte assecondata, nelle sue richieste fisiologiche, per poter rendere al meglio.